Bresciana, è laureata in Ingegnere gestionale. Francesca Bertoglio, dopo il master per “Autore e produttore di eventi culturali” alla Cattolica di Milano nel 2001, ha lavorato presso l’ufficio manifestazioni e spettacoli del COmune di Brescia fino al 2004. Dal 2005 al 2007 è stata la responsabile “progetti internazionali” presso l’Ente Teatrale Italiano di Roma. Torna a Brescia nel 2008 per assumere l’incarico di advisor della Direzione Generale Comune di Brescia, coordinando i progetti strategici nell’ambito turismo e cultura. Tra il 2009 e il 2010 è protagonista della creazione della Fondazione del Teatro Grande di Brescia, uno dei teatri di tradizione lombardi. Tra il 2012 e il 2015 assume anche la Direzione generale del Nuovo Eden, i quello di advisor della direzione relazioni istituzionali ed esterne per Expo 2015-Padiglione Italia. Nel 2016 si sposta a Mantova per assumere il ruolo di poject manager di Mantova Capitale italiana della Cultura. Nella città dei Gonzaga a gennaio 2017 è Project Manager di Mantova Hub, ma a settembre dello stesso anno inizia l’avventura come direttore generale della Fon¬dazione Taeatro Fraschini di Pavia unitamente all’incarico di direzione artistica.
Lei è diventata direttore generale e artistico del Fraschini nel 2017. In questo senso quali sono stati i principi che l’hanno guidata (e la guidano) nella sua attività al teatro pavese?
L’approccio è sempre quello che credo accomuni tutte le direzioni artistiche: condividere con le persone ciò che di bello o “imperdibile” ci sembra di aver scoperto. Avvertivo che al Fraschini dominava una modalità molto tradizionale di vivere l’appuntamento a teatro, come ritualità sociale, ma che non stava intercettando i moltissimi giovani che animano la città, cui quella ritualità non appartiene e forse mai sarà. Cerco di guardare avanti, a mandati lunghi oltre il mio, immaginando come sarà se lasciamo tutti gli elementi inalterati, o come potrebbe essere cambiando alcuni tasselli.
“Lo sguardo oltre” è il titolo della stagione appena iniziata, che sembra quasi voler esternare la volontà di superare una barriera…
E’ un invito alla curiosità, a lasciarsi stupire da quel che non conosciamo. Noi pensiamo che la scoperta sarà piacevole, quindi invitiamo il pubblico ad uscire dalle proprie certezze. Ad esempio, scegliere di abbonarsi solo alla prosa e non avere quindi nessuna finestra sulla danza, lasciando passare anche l’idea che ci siano confini netti tra i generi, vuol dire privarsi di alcune opportunità.
In particolare, ci può raccontare quali decisioni artistiche l’hanno condotta alle scelte per la stagione 2019/20?
Giro il più possibile e vedo le produzioni, gli studi, le anteprime. Se non hanno ancora debuttato nei mesi in cui è necessario chiudere la stagione, allora c’è un atto di fiducia verso artisti, registi, coreografi. Sintetizzare quali elementi facciano “scattare la scelta” non è facile, e forse non è definibile. La bellezza quando c’è si impone, la bravura anche. Sicuramente sono produzioni dietro le quali c’è un lavoro molto serio di studio e preparazione da parte degli artisti. Non ci sono produzioni montate in tre settimane mettendo insieme un volto noto televisivo, un testo famoso e un regista di passaggio disponibile.
Qual è lo spettacolo al quale è più legata?
Uno spettacolo mi suscita particolare tensione emotiva, nel suo essere una voce sola su un palcoscenico che racconta, nella sua nudità, un abisso. L’Abisso personale di un piccolo nucleo di uomini legati da profondo amore, che deve affrontare una perdita, e l’Abisso del mare profondo delle acque di Lampedusa. Davide Enia è lo scrittore e narratore che sarà in scena il 26 novembre.
A volte, in Italia, la promozione della cultura sembra essere demandata a visionari Don Chisciotte. Nel nostro Paese, esiste ancora una cultura della cultura?
Ce l’abbiamo nel DNA, e per fortuna in qualche forma resiste, come deve essere: contraddittoria, disarticolata, diversificata. Ma finché verremo letti come un settore “a sè stante” cui erogare qualche milione di euro una tantum, rimarremo la Cenerentola di turno. Convincerci e convincere che siamo intersecati a tutto ciò che accade e che è la società nel suo insieme che va aiutata e stimolata fruendo di cultura, è più difficile da attuare con manovre “dall’alto”. Ma ci sono movimenti tellurici, per cui
ad un certo punto, dal basso, qualcosa si orienta diversamente. E io credo stia già accadendo, lo vedo nella generazione subito dopo la mia.
Tornando al Fraschini, quali sono i progetti che si svilupperanno in parallelo alla kermesse teatrale?
Ci saranno incontri in Università, nelle scuole e nei collegi con gli artisti, laboratori teatrali che vedono partecipare la cittadinanza attivamente. Tra le tante collaborazioni con il territorio, una recente con la libreria pavese Delfino ci sta dando molte soddisfazioni: ogni mercoledì alle 18.30 fino al 30 ottobre vi si svolge “CHIAMATA PUBBLICA! Voce ai libri” dove lettori eccellenti conversano intorno ai grandi classici che saranno trasposti in teatro nella stagione 2019/20, da Il Maestro e Margherita a 1984 di Orwell, passando anche per Il Giardino dei Ciliegi e I Promessi Sposi.
Da ultimo, come vede la città di Pavia e il suo pubblico?
Pavia è indubbiamente una città colta con due anime forti: una che preserva una grande tradizione e una che rappresenta un immenso potenziale futuribile. Una certa resistenza al cambiamento della prima, ma anche un grande e consolidato amore per il teatro, una difficoltà di comunicazione con la seconda, ma anche una grande apertura e curiosità, una volta intercettata. Quali forze che si muovono nella città, sono però evidenti entrambe e con entrambe è giusto trovare il modo per lo meno di farsi comprendere.
T.M.